Le aziende fanno soldi usando i nostri dati

La partita per i nostri dati personali in Rete, oggi si gioca tra i cosiddetti Big Data e le associazioni

dei consumatori che ora hanno detto basta. In palio non ci sono solo i diritti, ma anche tanti soldi


Le aziende fanno soldi usando i nostri dati

Cominciamo definendo cosa sono questi Big Data. Il termine inglese, traducibile con Grandi Dati, non rende per niente bene l’idea. Parliamo dell’immensa mole di informazioni che ognuno di noi lascia dietro di sé ogni volta che naviga in Internet, usa la carta di credito, si connette a un servizio cloud o svolge qualunque altro tipo di attività che comprenda l’uso di dati personali.

Perché parliamo di Big Data?

Per un motivo molto semplice. Queste informazioni, nel mondo in cui viviamo, hanno assunto un valore importantissimo a molti livelli. Attenzione, non parliamo soltanto di valore etico o morale, ci riferiamo più prosaicamente ai soldi. Tanti soldi. Una stima prudente ha calcolato che il valore di queste informazioni, entro il 2020, sarà di circa 700 miliardi di euro. Tanto per chiarire, è una cifra pari più o meno al 4% del Prodotto Interno Lordo dell’intera Unione Europea!

Dove vanno a finire tutti questi dati?

Questo è il punto essenziale. Chiariamolo con un esempio: supponiamo di avere cercato in Rete informazioni su un elettrodomestico che vorremmo acquistare. Un attimo dopo noteremo che su molte delle pagine web che visitiamo, i banner pubblicitari riporano informazioni proprio su quell’elettrodomestico. Bene, questo è uno degli effetti dei Big Data: fornire alle aziende che se ne servono una fonte precisa di informazioni sui potenziali clienti e sulle loro esigenze. È abbastanza evidente che si tratta di dati importanti e di immenso valore commerciale. Il problema è che molto spesso, noi che in modo del tutto inconscio mettiamo a disposizione questi dati, non riceviamo in cambio quasi nulla in termini di profitto.

E’ quindi cosa succede?

Succede che le associazioni a tutela dei consumatori si sono stancate di questa situazione e di recente hanno deciso di promuovere una dichiarazione chiamata My Data is Mine, cioè I miei dati sono miei. Tra queste cinque associazioni mondiali c’è anche l’italiana  Altroconsumo, che ha tradotto l’iniziativa con I Miei Dati Contano. Si tratta di una petizione che possiamo visionare e firmare presso il sito dell’associazione e che, in sostanza, stabilisce tre obiettivi da raggiungere: il rispetto della privacy dei nostri dati, l’opportunità di avere un ruolo all’interno di questa nuova economia e il riconoscimento ai consumatori di una giusta parte dei profitti. La dichiarazione è stata firmata a Bruxelles dalle Associazioni dei consumatori di Spagna, Italia, Brasile, Belgio e Portogallo.

Sembrano traguardi piuttosto ottimistici, tuttavia è giusto dire che l’iniziativa non è solo lodevole, ma anche opportuna. I dati, dopotutto, sono davvero nostri, contano molto e sono utilizzati, spesso senza alcuno scrupolo, per generare una ricchezza che noi non vediamo affatto.

Dove si nascondono i big data nel mondo moderno

Chi volesse evitare completamente la circolazione dei propri dati personali, oggi, avrebbe veramente un bel daffare. Anche andando oltre le attività più ovvie, come navigare in Rete o usare lo smartphone, dovremmo evitare le carte fedeltà dei supermercati, i contatori elettrici di nuova generazione, alcuni tipi di stampanti laser a colori, la stampa dei coupon con gli sconti dal Web, ma anche le carte di credito, gli Smart TV e spesso persino gli e-Book! Staremmo più sicuri, ma sarebbe una vita ben difficile.

Molte associazioni si stanno mobilitando per consentire

anche a noi di guadagnare, ma nel frattempo…

I miei dati contano.
La dichiarazione promossa dalle associazioni per i diritti dei consumatori può essere firmata al sito di Altroconsumo, all’indirizzo
Il sito riporta anche il manifesto e tutte le informazioni